Twitter icon
LinkedIn icon
YouTube icon
RSS icon

L'INDUSTRIA DELL’EMILIA-ROMAGNA E IL CARO ENERGIA: LA BOLLETTA ENERGETICA DA 700 MILIONI DI EURO NEL 2019 A 4 MILIARDI NEL 2022

News

Twitter Linkedin Condividi

L'INDUSTRIA DELL’EMILIA-ROMAGNA E IL CARO ENERGIA: LA BOLLETTA ENERGETICA DA 700 MILIONI DI EURO NEL 2019 A 4 MILIARDI NEL 2022

 

Le imprese industriali dell’Emilia-Romagna e il caro energia: la bolletta energetica da 700 milioni di euro nel 2019 a 4 miliardi nel 2022

Confindustria Emilia-Romagna compie 50 anni e fotografa i cambiamenti sociali ed economici dal 1972 ad oggi

 

Bologna, 16 febbraio 2022 -  L’industria dell’Emilia-Romagna prosegue il trend di crescita, ma i segnali di rallentamento di fine 2021 sono aggravati da uno scenario che si presenta particolarmente incerto. I costi dell’energia e delle materie prime, l’andamento dei prezzi e il contesto geopolitico in peggioramento mettono a serio rischio il percorso di risalita del PIL avviato lo scorso anno.

I settori industriali che risentono maggiormente del caro energia sono quelli che producono beni finali, la cui domanda è ancora debole, e quelli energivori come ceramica, alimentare, chimica, metallurgia, legno e carta. Anche le aziende con solidi portafogli ordini avranno quest’anno margini operativi in forte contrazione, quando non del tutto azzerati. La situazione è difficile soprattutto per i settori più colpiti dagli effetti del Covid-19, in particolare il turismo, il commercio al dettaglio, il trasporto aereo, l’intrattenimento e la ristorazione, che faticano a intravedere segnali di ripresa.

Circa l’emergenza sanitaria, gli imprenditori dell’Emilia-Romagna ritengono che ci siano le condizioni per uscire finalmente da questa fase secondo quanto programmato al termine dello stato di emergenza.  «Confido che a breve si possa riprendere con la piena normalità − auspica il Presidente di Confindustria Emilia-Romagna Pietro Ferrari e passare dall’emergenza alla prudenza, mantenendo sempre costante l’attenzione e la verifica dei dati sanitari. In questi mesi abbiamo strutturato la macchina dell’emergenza, sia per quanto riguarda la capacità vaccinale, intesa come produzione, approvvigionamento e distribuzione dei vaccini, sia per la gestione del Green Pass, con le inevitabili difficoltà dei periodi di maggiore pressione. Se in autunno si dovesse sfortunatamente ripresentare una situazione critica avremo la strumentazione pronta per gestirla in modo efficace».

L’impennata della quotazione del gas a livello nazionale si è rapidamente trasferita sul prezzo dell’energia elettrica facendo lievitare i costi energetici delle imprese industriali in Italia: da 8 miliardi di euro nel 2019 a 37 previsti per il 2022.

Gli imprenditori di Confindustria Emilia-Romagna stimano che la bolletta energetica dell’industria regionale, che era di 700 milioni di euro nel 2019, sarà di 4 miliardi nel 2022.

Il consumo di energia in Emilia-Romagna è ripartito tra l’industria (30% dei consumi finali totali), i trasporti (29%), il settore residenziale (20%) e i restanti settori tra i quali agricoltura e servizi.

Il settore industriale assorbe il 47% dei consumi regionali di energia elettrica. Il 70% dei consumi industriali di energia è coperto da energia termica, il 30% da energia elettrica. Il principale combustibile impiegato ad uso termico nel settore industriale è il gas naturale (95%), mentre GPL e olio combustibile pesano per meno del 3%. Le fonti termoelettriche contribuiscono per circa l’85% alla generazione di energia elettrica, i cui impianti sono alimentati a gas per il 65%. Si può quindi stimare che il consumo di energia del settore industriale dell’Emilia-Romagna sia coperto per l’83% attraverso il gas naturale.

«Dobbiamo rendere il nostro sistema energetico il più efficiente possibile − dichiara il Presidente regionale degli industriali Ferrari – e meno in balìa delle dinamiche dei prezzi e delle tensioni geopolitiche, partendo da un mix virtuoso delle fonti di approvvigionamento. Nel Patto per il Lavoro e per il Clima sottoscritto a fine 2020 con la Regione abbiamo condiviso l’obiettivo di accelerare la transizione ecologica, raggiungendo la decarbonizzazione prima del 2050 e il 100% di energie rinnovabili entro il 2035. Se vogliamo cogliere questo ambizioso traguardo, ancora molto lontano, non possiamo più rinviare scelte chiare in questa direzione, con pragmatismo e senza preconcetti».

L’energia da fonti rinnovabili contribuisce oggi in Emilia-Romagna al 15% del totale dei consumi energetici. La capacità installata di produzione energetica dalle fonti “green” non è aumentata dal 2015 al 2020. Anche l’utilizzo della fonte idroelettrica è stabile da decenni, totalmente marginale il ricorso all’eolico, azzerati gli impianti di produzione di biometano.

Secondo gli industriali è necessario affrontare urgentemente le ragioni di questo stallo − che non sembra dovuto ad una carenza di investitori − e intervenire per modificare il quadro regolatorio di riferimento. Negli ultimi mesi si è verificata una moderata ripresa delle autorizzazioni di nuovi impianti fotovoltaici, in particolare in alcune aree della regione: anche il tema dell’omogeneità della pianificazione territoriale è oggi di assoluta rilevanza.

«L’aggiornamento del Piano Energetico regionale − sottolinea il Presidente Ferrari sarà un’occasione importante di confronto con la Regione per trovare coerenza tra obiettivi, politiche di sostegno, norme e procedimenti amministrativi. Dobbiamo poter contare su anni di intense politiche di investimento pubbliche e private nella capacità di produzione di energie rinnovabili sull’intero territorio regionale».

Nel Decreto legge “Recovery” approvato a fine 2021 il Governo si è impegnato ad individuare entro 180 giorni i criteri per la localizzazione delle aree per gli impianti da fonti rinnovabili, sulla base dei quali le Regioni avranno altri 180 giorni per identificare le aree. Si tratta, secondo gli industriali dell’Emilia-Romagna, di un termine perentorio su cui iniziare a lavorare da subito. Già dal 2010 il Governo aveva dato questo onere alle Regioni, ma poco è cambiato da allora in termini di investimenti. Secondo le analisi di Confindustria l’iter autorizzatorio per gli impianti di produzione da fonti rinnovabili, incluso l’allacciamento alla rete elettrica, è mediamente di 109 mesi (9 anni) a livello nazionale.

Per quanto riguarda invece il gas naturale, è indispensabile ridurre la dipendenza dai mercati di importazione recuperando il gap di produzione interna, che ha visto il nostro Paese scendere a soli 4 miliardi di metri cubi estratti, circa un quarto rispetto a vent’anni fa.  Oggi il gas estratto in Italia rappresenta solo il 4% del totale del fabbisogno nazionale, ma può raddoppiare in 18-24 mesi.

«Il gas naturale – conferma il Presidente di Confindustria regionale Ferrari – è fondamentale per l’industria emiliano-romagnola e continuerà ad esserlo per molti anni anche nel processo di transizione. Dobbiamo aumentare rapidamente la produzione nazionale e intervenire in modo incisivo per mitigare l’impatto sui settori più colpiti. È importante diffondere il più possibile la produzione di biometano, anche tramite accordi di filiera, specie nel settore ceramico e alimentare, con prezzi concordati e certificazione di provenienza. Con il “Decreto sostegni ter” il Governo ha compiuto un primo passo, non risolutivo, per affrontare gli effetti devastanti del costo dell’energia elettrica per il sistema manifatturiero del Paese. Ora occorre affrontare con urgenza anche il problema del costo del gas, che sta mettendo alle corde le imprese con ciclo termico che esportano sui mercati mondiali, come quelle del comparto ceramico».

Gli imprenditori dell’Emilia-Romagna ritengono inefficiente la prospettiva di distribuire a pioggia 4-5 miliardi di euro per ridurre al margine il costo del gas.  Per non mettere fuori mercato intere filiere industriali sarebbe molto più utile concentrare un mix di azioni nelle filiere a maggior consumo di gas. Una possibile soluzione è agevolare l'incremento della produzione nazionale di gas da destinare alle imprese industriali, senza nuove perforazioni e senza aumento delle emissioni di CO2 perché sarebbe in sostituzione di gas importato, prevedendo misure anticipatorie che garantiscano un ristoro immediato.

 


 

In occasione dell’incontro con la stampa il Presidente regionale degli industriali ha annunciato che quest’anno ricorre il Cinquantennale di Confindustria Emilia-Romagna e ha presentato alcuni numeri di confronto tra l’Emilia-Romagna di oggi e quella del 1972.

«Nel 2022 − ha concluso il Presidente Pietro Ferrariricorrono i 50 anni dalla fondazione di Confindustria Emilia-Romagna, costituita a Bologna il 23 febbraio 1972. Come due anni fa con il Progetto Traiettoria 2030, abbiamo deciso di guardare indietro per comprendere come sia cambiata la nostra regione e in quale direzione stia andando. I grandi trend dello sviluppo e del cambiamento vengono da lontano e dobbiamo esserne consapevoli quando progettiamo il futuro. Tanto più in un momento in cui siamo chiamati a costruire le grandi transizioni verso il domani: quella digitale, della mobilità, della sostenibilità e dell’energia».

Il percorso di attività che accompagnerà il sistema regionale Confindustria nel corso dell’anno prenderà avvio da un’analisi dei cambiamenti dell’Emilia-Romagna dal punto di vista demografico, geografico, sociologico ed economico dal 1972 al 2022.

Alcuni primi dati di sintesi: la popolazione è passata da 3,8 milioni a 4,4 milioni, la popolazione straniera dallo 0,4 al 13% dei residenti, il tasso di attività dal 64% al 73%. Il PIL pro capite da 16 mila euro a 34 mila euro, anche se con un trend in diminuzione dal 2008, come a livello nazionale. Se nel 1972 la percentuale di emiliano-romagnoli senza alcun titolo di studio o con la sola licenza elementare era il 74%, oggi è il 20%. Diplomati e laureati rappresentavano complessivamente l’8,6% della popolazione negli anni 70, oggi sono il 44%. Siamo passati da 26 a 66 vetture per 100 abitanti e da 1,3 a 3,3 milioni di autoveicoli in circolazione. Di contro, la rete stradale in km è aumentata circa del 26%, le autostrade erano 560 km nel 1972 e oggi sono 650 km.